venerdì 29 aprile 2011

Nemo ti ama


Ogni mattina due occhi nello specchio del bagno mi chiedono: Perchè? E io passo i giorni a cercare una risposta.
Mi siedo sempre allo stesso posto sull'autobus. E' stata una conquista lenta, una scelta ben ponderata. Il posto dove ero più comoda, dove non scivolavo in giù ad ogni frenata brusca e dove arrivano meno spifferi nei mesi invernali. Da qui ogni giorno guardo fuori il panorama che scorre in mezzo al traffico. Gli alberi di città sono marziani nel cemento, però li guardo perchè loro una risposta cel'hanno, scritta nelle foglie. E' una lingua che non so decifrare, come quella del verde ostinato tra le fessure dell'asfalto. Ondeggiano nel vento raccontando un segreto alle mie orecchie sorde, purtroppo.
Guardo i volti assonnati davanti a me. Assonnati, truccati, pensierosi, vuoti. Comunque tutti poco convincenti, meno che mai allettanti. Cerco la risposta nel libro che ho in borsa. Non è il primo, non l'ultimo. Questa lingua stavolta la capisco pure, ma leggo la risposta di qualcun altro. Più leggo libri, più ritrovo tanti perchè tangenti a quello dei due occhi nello specchio, ma è come l'equivalenza di un poligono di infiniti lati con una circonferenza. Non coincidono mai in toto con la mia risposta. La quadratura del cerchio non è un fatto matematico-scientifico: è arte. Ma se appartiene a qualcun altro non funziona. E continuo a cercare da un'altra parte.
Le parole, le mie. Parole afone. Si affollano in gola, spingono contro il palato senza poter uscire. Muoiono soffocate soffocandomi e tornano indietro avvelenandomi, CO2 nei polmoni.
Cerco aria pulita nei ricordi: il vento che soffia su un prato di motagna in un'alba rosata come un vino. Il freddo entra nel naso con mille lame e  le respiro infinitamente.
Giro il collo verso il vetro, sul muro di cemento appare la risposta.

giovedì 20 gennaio 2011

Todo me sale

Todo me sale
roto en pedazos
y no sé
si mi papel es bien
lo de arreglar
o simplemente
resignarme
a una tabla de salvación.

lunedì 3 gennaio 2011

Waiting for my bus

Quasi tepide le mani cercano nel buio.
Sfiorano un rosso fluido pulsante, lo afferrano e sguscia tra le dita una bava di ragnatela.
Sentono un verde tagliente di lame, che ferisce con calore. Le cura un blu arido di zolle spaccate per l'assenza. Manca sempre qualcosa al tatto, che si dissolve quando sta per raggiungere la felicità viola. E si risveglia in una nuova alba bianca, lattiginosa.

giovedì 30 dicembre 2010

Julio Cortàzar " Rayuela" cap. 7

Tocco la tua bocca. Con un dito tocco il contorno della tua bocca. La disegno come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si schiudesse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano sceglie e ti disegna sul viso, una bocca scelta tra tutte, con sovrana libertà scelta da me per disegnarla con la mia mano sul tuo viso, e che per un caso che non arrivo a comprendere coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti disegna.
Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino, e allora giochiamo al ciclope, ci guardiamo man mano sempre più da vicino e i nostri occhi si fanno grandi, si avvicinano, si sovrappongono, e i ciclopi si guardano respirando confusi. Le bocche si incontrano e lottano tiepidamente, mordendosi con le labbra, appoggiando appena la lingua sui denti, giocando nel loro recinto dove un'aria pesante va e viene con un profumo vecchio e un silenzio. Allora le mie mani cercano di affondare nei tuoi capelli, di accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se ci mordiamo il dolore è dolce, e se affoghiamo in un breve e terribile assorbersi simultaneo del fiato, questa istantanea morte è bella. E c'è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare contro di me, come una luna nell'acqua.

venerdì 24 settembre 2010

Después del amor/Dopo l'amore

Arrugas de sábanas: una cama después del amor.
Terco contra el mundo, quebranta las leyes del orden y del deber: el deseo lo aplasta todo.
Muslos y brazos sublimando en humedades aéreas, olores, al compás de un rayo de luna.
Después del amor la piel se calla, miradas de terciopelo, los ojos, se abanican entre pestañas. De mi cuerpo hasta el tuyo la distancia de un beso.
Después del amor, el amor otra vez.


Rughe di lenzuola: un letto dopo l'amore.
Ostinato contro il mondo, infrange le leggi dell'ordine e del dovere: il desiderio schiaccia ogni cosa.
Gambe e braccia sublimano in umidità aeree, odori, al ritmo di un raggio di luna. Dopo l'amore la pelle si fa muta, sguardi di velluto gli occhi, ventagli di ciglia. Dal mio corpo al tuo la distanza di un bacio.
Dopo l'amore, l'amore ancora.

sabato 21 marzo 2009

Ora legale/pensieri clandestini

Marzo finisce e arriva l'ora legale. Legalizziamo la presenza più lunga del sole nei nostri giorni, perchè non dovrebbe esserci, ma noi, clementi, gli concediamo ogni anno un'ora di amnistia.
Un'ora di sole in più per lavorare, per vivere il modo. Un'ora in più per stancarsi e pensare a chi non si può.
E sono clandestini i miei pensieri, sotto un sole in piena regola. La pena per questo reato consiste in mesi di tristezza e struggimento: non è poi così grave l'amore a senso unico. Difficile vivere questa condizione, devi nasconderti, camuffarti, dissimulare. Ed ecco la maschera, la falsa noncuranza. Io dissimulo. Dissimulo i miei pensieri. Dissimulo l'amore che ho e che non so dove buttare.

24 Marzo 2007

Così quasi due anni fa.
Il tempo cammina, ma a cambiare a volte è solo quel viso che trovo nello specchio e i numeri degli anni sul calendario.
Un desiderio: che il cuore sia un'arancia, per poter spremere via il ricordo fino all'ultima goccia. E poi niente più.

21 Marzo 2009


Tra il dire e il fare c'è di mezzo l'amore, un mare di desiderio che tra la riva e l'orizzonte si tormenta in onde sospinte dal vento. Lacrime di schiuma righeranno di sale guance bruciate da un sole di lussuria.
Tra il dire e il fare ci rimette l'amore, un ricordo di madreperla che muore nell'eco di un guscio di conchiglia, sussurrato all'orecchio di un cuore naufragato.

lunedì 9 marzo 2009

Rhododendron L. - Mi rodo dentro

È un'abitudine che mi fa sentire simile ai poveri cristi che rovistano nell'immondizia o a quelle donne anziane e randagie, non necessariamente sole, che danno da mangiare ai gatti di strada. Non so spiegare il perchè.
Mi viene in mente una scena, imprecisata nel tempo vago dei miei ricordi; una scena di normale e spietata povertà. Alle porte di una chiesa, dopo che gli sposi con tutto il loro seguito erano partiti verso il loro futuro e un ristorante prenotato, ho visto un uomo col maglione di lana dai gomiti consumati, in ginocchio. Rccoglieva quello stesso riso che agli sposi aveva augurato tanta fortuna. La felicità di alcuni è la disperazione di tanti altri. Non so spiegare il perchè.

Ho preso l'abitudine di raccogliere piante che qualcuno ha deciso di buttare via e lasciar morire. Se capita di imbattermi in rametti spezzati e gettati dal balcone di chissà quale piano, se noto vicino alla spazzatura una pianta sfiorita e abbandonata, un istinto che non so giustificare mi spinge a raccoglierli. Li porto a casa e cerco di rianimarli, fargli mettere nuove radici in un luogo diverso, in un altro contesto sotto lo stesso cielo.
L'ultima volta è stata in un cimitero di campagna, d'estate.
Ho sempre pensato che i fiori di plastica siano la decorazione più adatta ai letti di chi dorme in questi luoghi il suo beato sonno spensierato. Per questo il vaso buttato accanto ai rifiuti aveva attirato la mia attenzione: cosa ci faceva una pianta viva lì? Uno di quei vasi di plastica rosso mattone, reclinato come se dormisse anche lui. La piantina era sulla buona strada per diventare completamente secca di lì a qualche giorno. Spelacchiata, le foglie rimaste aggrappate ai ramoscelli si stavano accartocciando con lo sguardo rivolto verso le compagne già cadute e sparpagliate tutt'intorno. E cos'altro poteva fare un essere vivente lì, se non morire?
Decisi di strapparla a quel destino e alla bava scintillante di una lumaca venuta a darle l'estrema unzione. Un luogo diverso, la città; un contesto diverso, il davanzale di una finestra. Lo stesso cielo.
Non la curai in modo particolare, non cambiai il vaso di plastica rosso mattone né la terra, l'unica che quelle radici avessero conosciuto. L'acqua era tutto ciò di cui aveva bisogno. Osservavo i rami aperti in una specie di abbraccio disperato senza fine e pensavo a quelle vecchissime parole "Ciò che veramente serve per essere felici è facile a trovarsi. L'inutile è difficile". Sembra facile.
L'acqua. Non quella calcarea che i fortunati abitanti di questa città possono avere tutto l'anno col solo gesto di girare una manopola o alzando un più moderno miscelatore. Non questa, che ingiallisce le foglie e appesantisce la terra. Questo animo ingiallito che mi sento potrebbe dipendere proprio dal bere ogni giorno l'acqua di questa vita "civile".
Misi la pianta esposta ad un autunno generoso di pioggia. Un giorno dopo l'altro spuntavano un nuovo sole tra le antenne dei palazzi e nuove foglie sui rami mossi dal vento.
Ho passato mesi accanto a questa specie di Lazzaro vegetale. Un'indole abitudinaria mi porta a ripetere sempre gli stessi gesti legati agli stessi stati d'animo. Anche Lazzaro, perciò, si è accorta che il mio guardare dalla finestra è sintomo di un tormento, di un pensiero ricorrente che cerco di buttare fuori dai polmoni, come il fumo di sigaretta che accompagna questa scena. È forse sapendo tutto ciò che, nel mio inverno personale e del nostro calendario, questa vita di clorofilla ha deciso di fiorire. Per distrarmi da me. Per darmi sollievo, come è accaduto nel nostro primo incontro in quel cimitero d'estate, quando decisi di strapparla dal sonno dissetandola di vita nella pioggia.
Al verde scuro e ovale delle foglie si sono aggiunte punte candide, che si aprono lentamente in un tenero rosa. I petali frastagliati di un' azalea.