sabato 21 marzo 2009

Ora legale/pensieri clandestini

Marzo finisce e arriva l'ora legale. Legalizziamo la presenza più lunga del sole nei nostri giorni, perchè non dovrebbe esserci, ma noi, clementi, gli concediamo ogni anno un'ora di amnistia.
Un'ora di sole in più per lavorare, per vivere il modo. Un'ora in più per stancarsi e pensare a chi non si può.
E sono clandestini i miei pensieri, sotto un sole in piena regola. La pena per questo reato consiste in mesi di tristezza e struggimento: non è poi così grave l'amore a senso unico. Difficile vivere questa condizione, devi nasconderti, camuffarti, dissimulare. Ed ecco la maschera, la falsa noncuranza. Io dissimulo. Dissimulo i miei pensieri. Dissimulo l'amore che ho e che non so dove buttare.

24 Marzo 2007

Così quasi due anni fa.
Il tempo cammina, ma a cambiare a volte è solo quel viso che trovo nello specchio e i numeri degli anni sul calendario.
Un desiderio: che il cuore sia un'arancia, per poter spremere via il ricordo fino all'ultima goccia. E poi niente più.

21 Marzo 2009


Tra il dire e il fare c'è di mezzo l'amore, un mare di desiderio che tra la riva e l'orizzonte si tormenta in onde sospinte dal vento. Lacrime di schiuma righeranno di sale guance bruciate da un sole di lussuria.
Tra il dire e il fare ci rimette l'amore, un ricordo di madreperla che muore nell'eco di un guscio di conchiglia, sussurrato all'orecchio di un cuore naufragato.

lunedì 9 marzo 2009

Rhododendron L. - Mi rodo dentro

È un'abitudine che mi fa sentire simile ai poveri cristi che rovistano nell'immondizia o a quelle donne anziane e randagie, non necessariamente sole, che danno da mangiare ai gatti di strada. Non so spiegare il perchè.
Mi viene in mente una scena, imprecisata nel tempo vago dei miei ricordi; una scena di normale e spietata povertà. Alle porte di una chiesa, dopo che gli sposi con tutto il loro seguito erano partiti verso il loro futuro e un ristorante prenotato, ho visto un uomo col maglione di lana dai gomiti consumati, in ginocchio. Rccoglieva quello stesso riso che agli sposi aveva augurato tanta fortuna. La felicità di alcuni è la disperazione di tanti altri. Non so spiegare il perchè.

Ho preso l'abitudine di raccogliere piante che qualcuno ha deciso di buttare via e lasciar morire. Se capita di imbattermi in rametti spezzati e gettati dal balcone di chissà quale piano, se noto vicino alla spazzatura una pianta sfiorita e abbandonata, un istinto che non so giustificare mi spinge a raccoglierli. Li porto a casa e cerco di rianimarli, fargli mettere nuove radici in un luogo diverso, in un altro contesto sotto lo stesso cielo.
L'ultima volta è stata in un cimitero di campagna, d'estate.
Ho sempre pensato che i fiori di plastica siano la decorazione più adatta ai letti di chi dorme in questi luoghi il suo beato sonno spensierato. Per questo il vaso buttato accanto ai rifiuti aveva attirato la mia attenzione: cosa ci faceva una pianta viva lì? Uno di quei vasi di plastica rosso mattone, reclinato come se dormisse anche lui. La piantina era sulla buona strada per diventare completamente secca di lì a qualche giorno. Spelacchiata, le foglie rimaste aggrappate ai ramoscelli si stavano accartocciando con lo sguardo rivolto verso le compagne già cadute e sparpagliate tutt'intorno. E cos'altro poteva fare un essere vivente lì, se non morire?
Decisi di strapparla a quel destino e alla bava scintillante di una lumaca venuta a darle l'estrema unzione. Un luogo diverso, la città; un contesto diverso, il davanzale di una finestra. Lo stesso cielo.
Non la curai in modo particolare, non cambiai il vaso di plastica rosso mattone né la terra, l'unica che quelle radici avessero conosciuto. L'acqua era tutto ciò di cui aveva bisogno. Osservavo i rami aperti in una specie di abbraccio disperato senza fine e pensavo a quelle vecchissime parole "Ciò che veramente serve per essere felici è facile a trovarsi. L'inutile è difficile". Sembra facile.
L'acqua. Non quella calcarea che i fortunati abitanti di questa città possono avere tutto l'anno col solo gesto di girare una manopola o alzando un più moderno miscelatore. Non questa, che ingiallisce le foglie e appesantisce la terra. Questo animo ingiallito che mi sento potrebbe dipendere proprio dal bere ogni giorno l'acqua di questa vita "civile".
Misi la pianta esposta ad un autunno generoso di pioggia. Un giorno dopo l'altro spuntavano un nuovo sole tra le antenne dei palazzi e nuove foglie sui rami mossi dal vento.
Ho passato mesi accanto a questa specie di Lazzaro vegetale. Un'indole abitudinaria mi porta a ripetere sempre gli stessi gesti legati agli stessi stati d'animo. Anche Lazzaro, perciò, si è accorta che il mio guardare dalla finestra è sintomo di un tormento, di un pensiero ricorrente che cerco di buttare fuori dai polmoni, come il fumo di sigaretta che accompagna questa scena. È forse sapendo tutto ciò che, nel mio inverno personale e del nostro calendario, questa vita di clorofilla ha deciso di fiorire. Per distrarmi da me. Per darmi sollievo, come è accaduto nel nostro primo incontro in quel cimitero d'estate, quando decisi di strapparla dal sonno dissetandola di vita nella pioggia.
Al verde scuro e ovale delle foglie si sono aggiunte punte candide, che si aprono lentamente in un tenero rosa. I petali frastagliati di un' azalea.



venerdì 20 febbraio 2009

Maldisposta

Alla posta non si pagano più soltanto bollettini postali. Non si spediscono più soltanto pacchi, pacchetti e letterine. Alla posta ormai puoi comprare di tutto: il cd di Gianni Morandi e quello di Biagio Antonacci; 300 fiabe per bambini e il DVD di Topolino.
In edicola puoi comprarti orologi, sveglie e radioline. D’estate anche un materassino gonfiabile.
Alla Coin vicino casa mia espongono quadri e servono il caffè come al bar, lì dentro un mega negozio di vestiti a 4 piani.
Il mondo è tutto scombinato. I soldati fanno le missioni di pace e, già che ci stanno, col fuoco amico ammazzano quelli dalla parte loro.
Glia amanti-uomini uccidono per amore. Gli amanti-donna soffrono per amore.
Il datore di lavoro non è l’operaio che s’ammazza con turni abominevoli per produrre un ingranaggino, ma l’imprenditore che è un datore, sì, ma di stipendio.
Il mondo è tutto scombinato. Non è un mondo che va alla rovescia, è un mondo alla rovescia. E non è così solo ora che siamo nel periodo di Carnevale, no, è un Carnevale eterno, infinito. I nostri re sono tutti buffoni mascherati e noi siamo mascherati da persone libere.
Per non essere da meno, anche io mi sento scombinata, perciò non combino niente. Non combacio nemmeno, infatti il mio amore è fuori posto. Malriposto.

giovedì 12 febbraio 2009

La prigione d'acqua

So che è dietro di me a qualche metro.
Non mi importa. Parlo con gli altri e cammino tranquilla. Ma so benissimo che sto fingendo, mi svelo voltandomi quasi ad ogni passo, apparentemente distratta, per controllare che sia sempre lì. All’improvviso un gruppo di persone ci viene incontro; passano oltre il gruppetto che mi accompagna e la mia sicurezza inizia a vacillare. Guardo dietro di me ancora una volta, l'ennesima, senza paura di mostrare ora il desiderio di sapere che è ancora lì.
Lui non c’è più.
Rincorro in ogni vicolo di pietra la sua ombra, ma non riesco a vederlo. Ho paura.
Una cabina del telefono… la sua voce suona lontanissima dall’altra parte, chissà dove: “Sono in carcere”. Senza rendermene conto mi ritrovo con la sua famiglia in una grande stanza vuota, aspettando che liberino lui o un altro detenuto: Gesù o Barabba? Attimi infiniti di attesa e poi, pezzi di una speranza in frantumi: la mia. Liberano l'altro, mentre io sto provando un senso di colpa sconfinato, perchè avevo sperato fino all'ultimo che il dolore della perdita toccasse a quei volti sconosciuti in attesa, come me, del verdetto. Il loro caro è libero; io non rivedrò più il mio.
In qualche modo sono riuscita ad avere il permesso di vederlo. Entro nel corridoio e resto ferma davanti alla porta della sua cella. No, un attimo…. non è più una porta… non è una cella...mi sto affacciando su un’apertura circolare, come l’oblò di una nave. Lui è in fondo ad una specie di pozzo che, dopo un cunicolo iniziale, sembra diventare una stanza più grande. E’ una prigione d’acqua.
Seduto sul pavimento, immerso, lui è lì che respira perfettamente a suo agio. Intravedo dall’alto un ginocchio accanto al suo: qualcuno gli è seduto poco distante a gambe incrociate. “Meno male”, penso, “non è solo”. Saperlo da solo è la cosa che più mi dà pena.
D'improvviso alza gli occhi, si è accorto della mia presenza muta. Mi ha sentita. I suoi occhi… Sta sorridendo. Mi chiedo perché stia sorridendo. Ha l’aria tranquilla, la solita, quella che non perde mai. E io, come al solito, non riesco a capirlo. Ma perché sta sorridendo?
So che devo aspettare che venga verso di me. Lo so per istinto, perchè non c'è nessun altro intormo a me in questo posto assurdo. Automaticamente, mentre lui sale io tendo una mano. Devo aspettare che arrivi quasi in superficie, lo so per istinto. Pochi centimetri .... ... Le nostre dita si incontrano in un velo d’acqua.
Non sento il contatto al toccarlo. Ora le nostre mani aderiscono perfettamente, palmo contro palmo, le linee della mia dentro le sue si sovrappongono, si intersecano, si misurano. E non sento il contatto. E’ toccare uno specchio, ma il viso che guardo non è il mio. E’ calmo e sorride, lui; io sono terrorizzata. Perché non sento le sue mani? Perché sta sorridendo?
Si stacca da me, come per lasciarsi cadere. Direi che sta annegando, anche se è già sott’acqua. Non so come, ma so che si sta annegando e sono ancora più disperata. Non lo vedo più. Appena un attimo, poi riappare. E’ vivo, non si è lasciato morire. E’ vivo e mi guarda sorridendo, tranquillo…

... E alla fine si era risvegliata.
In bocca, il sapore amaro non eraun ricordo dell'ultimo caffè serale, ma quello della consapevolezza. Finalmente, avrebbe pensato qualche attimo dopo, finalmente sembrava finita. E probabilmente quello era l'unico modo possibile, l'unica conclusione degna di questo nome e di quella storia. Le voci del loro ultimo incontro, insistenti dentro di lei, risuonavano indipendenti dalla sua volontà.

- … In realtà, volevo dirti una cosa, ma non so se è il momento.
- Dimmi …
- E’ che sei al lavoro. E poi così di fretta, ‘ste cose le odio…
- Dimmi.
- E tra poco è l’ora di pranzo e tu dovrai andare…
- Non vuoi più vedermi.
- Beh … non ha senso!
- Se non hai voglia di vedermi, allora non ha senso.
- No, forse non hai capito: IO HO VOGLIA DI VEDERTI. Ma così siamo da capo: non ricordi cosa c’eravamo detti? Ti sei scordato?
- Credevo ci avessi messo una pietra sopra…
- Una pietra sopra ai sentimenti?! Ma non basta una montagna!
- Questa della montagna mi ha fatto tenerezza…
- E’ che così non può andare. Non riesco a far finta di niente. Ce l’eravamo già detto, io ho dei sentimenti per te, non posso continuare come se non fosse successo niente. Come se non mi avessi detto che non sei innamorato di me.
- Non mi fa piacere non vederti.
- Nemmeno a me. Anzi, non lo voglio affatto. Ma se non provi niente per me è meglio che la finiamo qua.
- Ho capito. Non ti chiederò più di uscire.
- E poi, perché vuoi continuare a vedermi?
- Non ho un piano. Sto bene con te e basta.
- Sì, ma io sono molto a disagio e imbarazzata. Cosa siamo? Non siamo amici…
- Non ho una definizione precisa, se è questo che vuoi.

Definizione. Detta così -aveva pensato in quel momento- sembra che io abbia bisogno di un’etichetta adesiva da attaccare al barattolo che contiene i nostri volti. Che senza catalogare e incasellare ciò che sta accadendo, non sia capace di gestire le situazioni. Forse. Dare un nome è conoscere, è possedere. Vediamo se è una definizione che sto cercando: vorrei sapere se ho il diritto di innamorarmi di te. E perché mi sento un’intrusa nella tua vita. Vorrei sapere perché mi faccio mille scrupoli e perché mi trattengo se ho voglia di baciarti. Da cosa dipende il mio imbarazzo, quando siamo in silenzio. Perché non mi cerchi mai, se dici che sono speciale. Tra le infinite noie quotidiane, ti fermi un attimo a pensarmi? I miei occhi ti parlano? Se baci un’altra, senti la differenza con me? Come ti senti ora che non ci vedremo più?
Se è con un nome, uno stupido mucchietto di sillabe, che puoi spiegarmi questo, -continuava il pensiero- allora sì, è una definizione che sto aspettando. Dimmela, adesso. Dammi un inutile mucchietto di sillabe…
Ma quelle parole le erano rimaste intrappolate in gola.

Tutto finiva lì. Così, all'improvviso, proprio come un pugno al centro dello stomaco, era stata proprio quella la sensazione che aveva sentito in ogni fibra, in ogni osso, fino nel cuore dove tutto era iniziato. Sì, il cuore… le si era contratto di colpo, come un buco nero, una stella morente, annullando dentro di sé ogni altra sensazione tranne l'amarezza. Decise che non ci avrebbe più riprovato, non avrebbe più sopportato di vedere distrutta la sua speranza, la gioia dell'attesa, il suo ottimismo. Decise che non si sarebbe più affacciata alla porta della prigione d'acqua per incontrare quegli occhi e aspettare il calore delle sue dita. Quante volte non lo aveva sentito? Il velo d'acqua, si rese conto, era una barriera più insuperabile di una montagna, di un muro o di mille porte blindate.
Quanti conati d'amore inutili negli ultimi mesi.

martedì 27 gennaio 2009

Parlami di te - Post presentazione

"Parlami di te".
Ecco la formula magica per evocare una menzogna. Che domanda è? Anzi, non è nemmeno una domanda, non ha il coraggio di esserlo, lei, infingarda di una richiesta che non è altro!
Scusa, ma sei distratto tu che pronunci queste tre parole al sicuro, mentre ti metti comodo aspettando che la mia voce accenda la tv. Trasmettiamo ora sulla nostra rete il programma "Io, l'altro". Invece no...
Un libro aperto ad una pagina a caso. Abbi pazienza, altrimenti cercala in te, apprendila: entra nel labirinto senza bussola. Distratto ti ho chiamato... Quel che dico e quello che faccio e il modo in cui lo faccio parlano di me. I vestiti che indosso in realtà mi svelano, osserva attraverso i colori che scelgo. Indovina l'incertezza nella voce e segui dove poso lo sguardo.
Non fidarti di me, posso mentire, inventarmi, disegnarmi addosso la maschera migliore, più bella di me. Sarei l'eroe della fiaba che racconto, la principessa candida e innocente e mai e poi mai la strega cattiva.
Fossi vuota? Dovrei descriverti un deserto pieno di crepe in cui non inciamperesti, perchè sapendolo staresti ben attento ai tuoi passi. Ma se fossi piena, come un torrente di Marzo, ugualmente non ti travolgerei: saresti equipaggiato.
Non ascoltarmi: interpretami, scoprimi. Guardami quando sono distratta, spiami mentre vivo e fallo senza che me ne accorga. Dalla fessura di una porta socchiusa vedrai tutto il mio mondo. Sii l'autore della mia storia, dammi la tua versione di chi sono.
Parlami di me...

venerdì 16 gennaio 2009

Fuori ci sono i giorni che rincorrono la notte. Fuori c'è il sole che bussa ai vetri della finestra, i gigli viola e le margherite gialle. Fuori c'è il rumore delle macchine di passaggio, il suono della vita che va. Ci sono quelli più bravi di me, quelli più intelligenti, più simpatici. Quelli sicuri che sanno cosa desiderare e che riescono ad ottenerlo. Fuori c'è la possibilità, l'occasione da cogliere.
C'è chi mi fa paura, fuori.
Dentro c'è la luce artificiale. Dentro c'è il silenzio necessario per ascoltare, per capire. Ci sono disordine e insicurezza, la mia, più dentro ancora, dentro di me. C'è la paura di non riuscire, la zona franca dove il fuori non può raggiungermi. C'è lo spazio per prendere una decisione e tornare indietro mille volte.
C'è un solco profondo, una ferita, dentro.
Dentro, ci sono io.

domenica 11 gennaio 2009

Correva l'anno

L'insonnia me la porto appresso come una lumaca il guscio.
Stanotte sono stata posseduta dallo spirito di Gianni Bisiach e ho avuto voglia di ricercare cos'è accaduto in questo stesso giorno di anni lontani e lontanissimi. Lo consiglio per scoprire quante persone celebri in realtà non lo sono e per sentirsi relativi rispetto al tempo e allo spazio.
11 Gennaio. 11-01. Una data ordinaria e binaria. Un popolo antico cercava di rovesciare un imperatore, perchè alcuni strani uomini cercano la giustizia anche là dove non c'è... e allora sarà per questo che Paco Ignacio Taibo II è nato in questo stesso giorno, lui o il suo Héctor Belascoarán, li confondo sempre. Fosse nato più di un secolo fa, avrebbe assistito alla rielezione del primo presidente indio del suo caro e doloroso Messico.
Seguo questi numeri che rimbalzano nella storia e scopro la morte di Galeazzo Ciano. Non sarà stato troppo sorpreso della sua condanna, visto che aveva dato il ben servito a quello scomodo suocero che si ritrovava.
La stessa data se la porta appresso, scolpita sulla lapide, anche il dolce, lieve, poetico Fabrizio de André.
11 Gennaio 1980: era iniziato da poco un decennio che ha segnato questo buffo paese, uno stivale in una pozzanghera. Gli anni del riflusso si chiamano, forse perchè molti avranno sofferto di quello allo stomaco. Finiva un periodo di solidarietà sociale, di politica e cultura impegnata. Ognuno per sé, yuppies e paninari non si sono accorti di una macchia scura nel polmone parlamentare... il pentapartito! Ho ricordi abbastanza netti di uomini con grossi occhiali marroni, sorrisi soddisfatti e un'anima nera. Iniziava una paralisi politica devastante, mentre tutti erano narcotizzati dai soldi facili, dallo spray per capelli e da giacche con spalline assurde.
Ricordo tantissimi quiz alla televisione: con Mike tutti vincevano, tutti sognavano. E la Tatcher e Regan a tiranneggiare il mondo. Poi ricordo quel muro nel cuore d'Europa che un giorno è stato distrutto, non dai picconi, ma dalla libertà. Quella libertà che non è una statua all'imboccatura di un porto e che non parla Inglese. Quel muro l'ho toccato dieci anni dopo, in una città dalla bellezza devastante.
Sono passati quasi trent'anni. 11 Gennaio 1980.